L’identità di marca rappresenta l’essenza di ciò che un brand è e vuole essere agli occhi dei propri clienti e interlocutori. Rappresenta il cuore pulsante di ogni azienda e, con il tempo e la crescente saturazione del mercato, molte organizzazioni hanno iniziato a conformarsi alle regole non scritte del proprio settore, correndo il rischio di perdere la propria autenticità. La domanda diventa inevitabile: come può allora un brand distinguersi e mantenere la sua identità nonostante queste tendenze pervasive?
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una massiccia operazione di uniformazione visiva all’interno di molti settori. Il fenomeno che potremmo definire come blanding si basa sulla mimetizzazione ed è antitetico al vero branding. Loghi e strategie comunicative tendono a uniformarsi secondo il principio del “less is more”, assomigliandosi gli uni agli altri fino a diventare quasi intercambiabili. Questa operazione di appiattimento consente ai marchi di rafforzare la loro appartenenza al settore di riferimento a livello percettivo, ma al contempo li espone a un rischio significativo. Per i marchi iconici con una storia e una reputazione ben radicate, questa omologazione potrebbe non rappresentare una minaccia immediata poiché occupano già una posizione privilegiata nella mente dei consumatori. Diverso è il caso di quei brand che non godono ancora della stessa riconoscibilità. La loro sfida risulta doppia: resistere alla corrente dominante dell’omologazione pur garantendo riconoscibilità e distintività sul mercato.
Si pensa spesso erroneamente che se una strategia ha funzionato per un competitor possa funzionare anche per la propria azienda. Si ragiona sul benchmark competitivo non soltanto in termini numerici, ma anche attraverso i contenuti e le regole non scritte della comunicazione. Niente di più potenzialmente pericoloso per la salute di un brand. Il rischio reale è il livellamento degli asset distintivi di ogni azienda, proprio quegli elementi che dovrebbero facilitare il riconoscimento attraverso associazioni subconscie e di per sé uniche nella mente dei propri interlocutori. Stessi messaggi, stesse grafiche, stessi toni creano un’uniformità che non esalta né rende giustizia all’individualità di ogni organizzazione. Questo fenomeno di appiattimento intra-settoriale non fa altro che erodere la distinzione tra un brand e l’altro, creando una sorta di invisibilità competitiva.
Intraprendere nuove strade e nuovi approcci significa travalicare le regole non in modo calcolato, bensì facendo la cosa più naturale in assoluto: raccontarsi per quello che si è realmente, senza schemi preconcetti. È qui che risiede il segreto per l’innovazione autentica. Per crescere e prosperare, le aziende devono pensare fuori dai sentieri tracciati, disegnando un percorso unico e distintivo che le rappresenti genuinamente.
A volte le idee migliori provengono dal di fuori del proprio settore. Attingere da mondi e discipline differenti può portare freschezza, originalità e rinnovamento nella propria comunicazione. Questo approccio non solo permette di distinguersi, ma apre la porta a nuove opportunità di connessione con le persone, creando un dialogo più autentico e memorabile. Non si tratta di un cambiamento cieco, bensì di un’evoluzione consapevole dove tutto ciò che si introduce deve mantenersi in linea con i valori fondanti dell’azienda. La contaminazione positiva non rappresenta un abbandono della propria essenza, ma un arricchimento profondo di essa. È un invito a guardare oltre e ad ampliare gli orizzonti, rimanendo sempre fedeli a quella che è l’identità autentica del brand. Solo in questo modo è possibile costruire una distinzione duratura e significativa nel panorama competitivo contemporaneo.