Oggi si parla molto di omnicanalità, solitamente in associazione a brand consumer che creano continuità nell’esperienza di acquisto del cliente sulle diverse piattaforme digitali disponibili. Ma il tema del presidio di tutti i punti di contatto non è fondamentale solo per i mercati BtoC, ma per tutti i settori nei quali il brand è un asset importante nel processo decisionale di acquisto e “remarketing”. Mantenere rilevanza e coerenza nella continuità della relazione, online e offline, è oggi una delle chiavi di volta per un processo di branding efficace.
Definire l’identità di un brand non corrisponde a creare il brand. Il brand nasce nella mente dell’interlocutore, quando cioè si innesca quel “collegamento esclusivo” tra il nostro marchio e i valori, i concetti e l’esperienza di cui vogliamo esso sia portatore. Per far sì che questo avvenga, è necessario pianificare (prima) e realizzare (poi) il processo grazie al quale l’azienda entra in contatto con i suoi interlocutori, la dinamica che generalmente chiamiamo “comunicazione”.
L’importanza del punto di vista
Nel business è considerato normale fare tutto “in funzione del cliente” che, per un’azienda, è “colui che acquisterà i suoi prodotti”. Tuttavia, la maggior parte delle persone esamina in modo rigido e distaccato il valore oggettivo dei brand e dei prodotti. Sul mercato escono continuamente nuovi prodotti, è ciò fa sì che, mentre dal punto di vista del produttore ogni minima innovazione è percepita come una “grande novità”, dal lato del consumatore le differenze sono minime. Anche per quanto concerne le molteplici funzioni dei prodotti, i produttori cercano di attrarre i consumatori con frasi come: “La nuova funzione pensata apposta per voi”, ma viene spesso da chiedersi: “Davvero il consumatore desidera proprio questa funzione? Era davvero necessaria?”.
Spesso chi lavora al marketing pensa alla comunicazione aziendale come a “una cosa che la gente guarderà”. Tuttavia, nel contesto attuale, superare la barriera dell’indifferenza della vita quotidiana e fare una comunicazione che possa davvero toccare la sensibilità delle persone è sempre più difficile, e nel lavoro di branding assumere un punto di vista che tenga conto della “situazione” nella quale si innesta la comunicazione è quanto mai fondamentale. In fondo è proprio questo uno dei presupposti di una comunicazione efficace: non facendosi trascinare dalla “logica aziendale” e mantenendo una visione “dall’esterno” si riescono a individuare tematiche e problemi che non sono visibili dall’interno dell’ambito aziendale.
Sono molte le persone che quando entrano in un’azienda prendono l’abitudine di ragionare dal punto di vista aziendale. Al fine di migliorare questa percezione della situazione in cui avviene la comunicazione dobbiamo avere la capacità di guardare al branding e al marketing come “persone”, prima ancora che come professionisti o nel nostro ruolo di business. Comprendere la prospettiva di chi ancora non ci conosce e non nutre nessun interesse verso quello che noi proponiamo (che è diverso dal punto di vista del cliente) ci permette, anche nel lavoro, di continuare a mantenere il senso di realtà che ci accomuna a tutti gli altri individui.
Essere rilevanti nel XXI secolo
Gli anni ’80 e ’90 hanno rappresentato l’apice della prosperità dei mass media: televisione, quotidiani, riviste e radio, soltanto quattro mezzi sui quali si concentrava la comunicazione delle aziende che aveva primariamente lo scopo di “persuadere”: in quell’epoca, la quantità delle informazioni che circolava era enormemente inferiore rispetto a oggi, perciò era più facile accettare una comunicazione di stampo persuasivo. Le pubblicità televisive erano i grandi argomenti delle conversazioni da salotto, le pubblicità dei quotidiani si facevano forza della loro autorità e l’effetto della pubblicità attraverso i mass media era enorme.
Il cambiamento si iniziò a vedere verso la metà degli anni ’90. Le informazioni a disposizione dei consumatori aumentarono esponenzialmente e si passò a un tipo di comunicazione pubblicitaria più “delicata” che consisteva nel non dire più “Questo è buono” bensì “Questo prodotto ha questo vantaggio, cosa ne pensate?”. Nelle riviste iniziavano a emergere annunci pubblicitari all’interno degli articoli e anche le campagne “coordinate”, che includevano l’attività di pubbliche relazioni, aumentarono in questo periodo. Era iniziata l’epoca della “fusione mediatica”.
Inoltre, dal 2000, internet e i cellulari fecero il loro ingresso nella vita quotidiana e il fluire delle informazioni cambiò improvvisamente dal “senso unico” verso la bidirezionalità. I blog e i social network diventarono fenomeni aziendali, si rafforzò il legame con gli individui al di fuori dell’impresa e, grazie alle raccomandazioni e alle valutazioni autentiche degli utenti, si acquisì un maggiore senso della realtà. I gusti e il senso dei valori si diversificarono sempre più, e la tendenza a scambiarsi informazioni andava aumentando. Così, si passò dalla “persuasione” alla “proposta”, facendo del nostro tempo l’epoca della “partecipazione”.
Oggi tutto può fungere da media, ed è diventato di fondamentale importanza sviluppare allo stesso tempo i prodotti e una strategia mediatica che si adatti loro. In altre parole, bisogna cercare di ideare non solo il contenuto, ma l’intera “situazione”. La situazione è un’esperienza del brand che nasce dalla volontà di “presentare un determinato contenuto, in un determinato momento e attraverso un determinato media”. Se si riuscirà a introdurre un nuovo punto di vista nella quotidianità, ne scaturiranno un’emozione e uno stupore completamente nuovi.
Inoltre, progettare una situazione prevede di tener conto delle persone, e della loro relazione con i vari avvenimenti o momenti della quotidianità. Unendo sapientemente l’ambiente circostante con i prodotti e la comunicazione, si riuscirà a ricreare un’esperienza unica e identificativa di una determinata azienda o marchio. Se si riuscirà a creare un legame tra il prodotto e la strategia mediatica appropriata all’interno dell’identità dell’azienda, le possibilità creative aumenteranno e la quantità di informazioni del contesto non sarà più un problema, perché la comunicazione risulterà comunque impattante e rilevante per i destinatari.